16.12.2018
Ecco il terzo articolo del nostro calendario dell’avvento femminista: durante le quattro domeniche dell’avvento pubblicheremo ogni volta un nuovo articolo, partendo da una citazione di quattro femministe importanti del 20esimo secolo. Ecco il terzo articolo del nostro membro Andrea Farioli:
La figura: Rosa Bloch
Rosa Bloch nacque a Zurigo nel 1880. Figlia di Berthold Bloch, commerciante di cereali e di Julie Guggenheim. Originaria di una famiglia di commercianti impoveriti lavorò come gioielliera e per questa ragione fu soprannominata dalla Neue Zürcher Zeitung Brillanten-Rosa. Nel febbraio-marzo 1918 fece parte dell’ala sinistra del comitato di Olten – organizzazione responsabile dello sciopero generale del 1918. Svolse un ruolo di primo piano anche in seno al movimento socialista, che lasciò nel 1921 per entrare nel partito comunista in seguito alla scissione del PS del 1920. Rosa Bloch fu una delle donne più combattive del movimento operaio zurighese e svizzero. Temuta dagli alti strati sociali della società morì nel 1922 in seguito a un’operazione mal riuscita.
Figura importante dunque per quanto riguarda le rivendicazioni femminile e operaie; Rosa Bloch era coinvolta nella vita pubblica: assunse per esempio la guida del giornale delle operaie “Die Vorkämpferin” nel 1912, fu la prima presidente della commissione centrale dell’agitazione femminile del PS svizzero nel 1918, nello stesso anno guidò a Zurigo una manifestazione femminile e difese con successo le rivendicazioni davanti al consiglio cantonale.
Questa dedizione alla vita pubblica non poteva realizzarsi che grazie alla grande tenacia di questa donna, che, in un periodo di forti disparità di sesso riuscì a emergere e ad apportare delle conquiste alla causa femminile. In un mondo fortemente patriarcale Rosa riuscì ad emergere tanto che la storiografia la considera ancora oggi come una delle più importanti attiviste svizzere. Rosa non fu tuttavia l’unica attivista femminista, molte altre donne come lei, sono state dimenticate dalla storiografia.
Breve storia del femminismo dalla Prima Guerra mondiale alla seconda ondata
La Prima Guerra mondiale ha dato alle donne la possibilità di prendere un posto sempre più importante nella società svizzera, dal momento che gli uomini erano al fronte. Tuttavia, dopo la fine della guerra, queste sono state nuovamente escluse dalla vita pubblica e respinte, ancora una volta, nel nucleo famigliare. Iniziò dopo la guerra un periodo di difficoltà per le femministe. Le rivendicazioni che saranno sostenute dai movimenti femministi dagli anni 1960-1970 sono anticipate da libri precursori come “Frauen im Laufgitter” di Iris Von Roten e “La paix des ruches” di Alice Rivaz.
Lo sviluppo del Movimento femminista e le organizzazioni femminili dal 1968
Le prime esponenti del nuovo movimento femminista svizzero arrivavano dal movimento studentesco di sinistra. Queste si accorsero che anche all’interno del movimento regnava lo stesso ordine tra i sessi che nella società borghese tanto criticata. Queste donne non si trovavano nemmeno sulla stessa linea dei movimenti femministi tradizionali. Il 10.11.1968 il nuovo movimento fece la sua prima apparizione in pubblico a Zurigo. Le rivendicazioni cambiarono e si portarono verso quelle classiche del periodo che gli storici definiscono la “seconda ondata del femminismo”. Verso la metà degli anni 1970 l’aborto diventò una delle rivendicazioni principali delle donne in Svizzera. Successe a quest’ultima la questione delle violenze sulle donne e nacquero nel 1977 dei progetti per offrire protezione. Nacque inoltre, dalla fine degli anni 1970, una corrente che si proponeva di indagare sulla storia dimenticata delle donne. A metà degli anni 1980 le donne iniziarono a preoccuparsi delle nuove tecnologie genetiche e riproduttive. Tra il 1975 ed il 1985 ci furono tre conferenze ONU vertenti sul tema della donna. Se le prime due non ebbero risonanza la terza fu di grande impatto ed ebbe come conseguenza un impegno nazionale e internazionale per la parità tra uomini e donne. Nella seconda metà degli anni 1980 il carattere del femminismo mutò ancora: le manifestazioni di strada erano sempre meno numerose, ma in un numero crescente di settori iniziò a realizzarsi la parità. Negli anni 1990 la ricerca di intesa e collaborazione in determinati campi caratterizzò il movimento femminista. Il quinto Congresso svizzero delle donne al quale presenziarono donne di ogni tendenza ideologica è simbolo di questa volontà di collaborazione.
Lo sciopero nazionale femminile del giugno 1991
27 anni orsono, il 14 giugno 1991, ebbe luogo in Svizzera il primo sciopero nazionale delle donne. All’occasione mezzo milione di donne si mobilitarono per reclamare la concretizzazione della legge sulla parità dei sessi votata dieci anni prima, con lo scopo di implementare l’articolo costituzionale: “Uomo e donna hanno uguali diritti. Le legge ne assicura l’uguaglianza soprattutto per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a una retribuzione uguale per un lavoro di pari valore” (art. 4, capoverso 2). Così, donne provenienti da tutta la Svizzera e da ogni regione linguistica si organizzarono per reclamare un’effettiva parità tra i sessi. Le rivendicazioni principali furono: salario uguale per un lavoro di pari valore; condizioni di lavoro rispettose della personalità; possibilità reali di formazione, integrazione e promozione professionale; infrastrutture sociali e prestazioni assicurative che permettano alle donne di conciliare gli impegni familiari e professionali; equa ripartizione dei compiti domestici; il rispetto dell’integrità e della dignità delle donne.
Questa giornata fantasiosa e variopinta – tipico dei movimenti femministi dell’epoca – ha dato luogo a numerosi cortei in tutta la Svizzera ed è entrata nella storia e nella mitologia del nostro paese. Lo sciopero fu una relativa vittoria, perché nel 1996 entrò in vigore la legge sulla parità tra i sessi; dico relativa perché al giorno d’oggi le donne hanno ancora molte conquiste da realizzare, per esempio, come riportato dall’Ufficio federale di statistica, queste guadagnavano nel 2016 il 12% in meno rispetto agli uomini (dato più recente). Ma le disparità tra i sessi, aldilà della questione salariale, perdurano nella società odierna. Si potrebbe ad esempio citare la differenza tra il congedo maternità – della durata di 14 settimane nelle quali viene percepito l’80% del salario – e quello paternità il quale non è nemmeno previsto dalla legge. Non è questo un modo di dare alle donne la maggior parte – se non tutta – della responsabilità dell’educazione del bambino ai primi stadi dell’infanzia? O ancora, non si inscrive ciò nell’ottica della classica divisione dei ruoli tra uomini e donne?
Certo di cambiamenti sociali ne devono ancora avvenire per poter proclamare un’effettiva uguaglianza tra i sessi, ma lo sciopero di giugno 1991 marca senza dubbio una svolta nella lotta per la parità di diritti. Lo sciopero, che si svolse ormai 27 anni fa sotto lo slogan “se le donne lo vogliono, tutto si ferma”, viene ancora ricordato dalle donne il 14 giugno di ogni anno, anche se, oggi, il numero di partecipanti si è molto ridotto rispetto al 1991.
Lo stesso anno, il tema della parità dei sessi fu anche al centro della festa nazionale dei lavoratori. Furono prodotte opere artistiche interessanti come, per esempio, quella del caricaturista Adriano Crivelli, il quale pubblicò un disegno che ricordava il gioco dell’oca, e che aveva lo scopo di ricordare come le donne abbiano, storicamente, preso parte a qualsiasi attività produttiva comprese quelle tradizionalmente considerate maschili.
Lo sciopero del 1991 ha senza dubbio marcato un momento importante nella storia dei femminismi svizzeri. Prima di tutto perché questa grande manifestazione ha portato alla stipulazione dell’uguaglianza tra uomini e donne nella legge. Purtroppo quest’uguaglianza è, in molti campi, presente solo sulla carta. Per questo, uomini e donne svizzeri devono ancora lottare! Per questo la Gioventù socialista ticinese aderisce allo sciopero generale indetto il prossimo 14 giugno.
Donne e uomini: facciamo sentire la nostra voce, alfine di trasformare questa presupposta uguaglianza in uguaglianza di fatto!
Andrea Farioli