Il virus è un prodotto del sistema economico attuale che agisce sulle nostre società e sull’ambiente.
Se consideriamo il metodo di produzione liberista come agente fondamentale di trasformazione degli ecosistemi, ci accorgiamo che patologie come il Covid-19 non sono contraddizioni esterne, bensì interne al sistema. Gli occhiali metodologici con cui si sta analizzando questa crisi internazionale si concentrano molto sull’impatto economico e finanziario presente e futuro. Un’attenzione che rischia di tralasciare importanti riflessioni sulle cause profonde di questa crisi. Le sue origini, secondo autori specializzati in diversi ambiti, possono essere ricondotte alle conseguenze dei processi di urbanizzazione, industrializzazione e gestione del servizio pubblico, come ad esempio l’impostazione dei sistemi sanitari nei diversi paesi. Da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo occidentale, la medicina sta rilevando morbi sconosciuti e il Covid risulta essere prodotto indiretto di un nostro modo di vivere. L’enorme mobilità globale di merci e persone si è rivelato essere un vettore ideale per la diffusione del virus.
La comunità scientifica è pressoché unanime nel ritenere che le alterazioni ambientali - dalla perdita di biodiversità alla deforestazione, dalla dispersione di rifiuti ai cambiamenti climatici - hanno un ruolo interconnesso che si può ripercuotere sulla salute umana. Con il blocco di gran parte delle attività industriali, dei trasporti aerei e della mobilità delle persone e delle merci, in Cina come in Europa e nell’America del Nord, si è riscontrata un’importante riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, con un conseguente miglioramento della qualità dell’aria. Questo a dimostrazione del fatto che buona parte dei danni ambientali sono causati dalle attività umane e che il surriscaldamento globale ha origini antropiche.
Anche il sistema economico capitalista, che può essere considerato un soggetto a rischio, affronta questa particolare crisi indebolito dalle patologie pregresse, intubato già prima della crisi e tenuto in vita solamente grazie al quantitative easing e alle immense quantità di denaro immesse sui mercati dalle banche centrali.
La rapidità con cui il Covid-19 si propaga ha imposto l’adozione di misure e comportamenti volti a contenerne la sua diffusione. Queste misure erano impensabili fino a qualche settimana fa. Molti cambiamenti che si ritenevano di difficile attuazione o abitudini che avrebbero richiesto anni prima di essere modificate, sono diventate possibili in poche settimane, come, ad esempio, il telelavoro, la telescuola, la rinuncia allo shopping (aumentato però online), la riduzione drastica di spostamenti superflui e viaggi in aereo, la voglia ritrovata di leggere e svolgere attività del tempo libero, attività agricole, lavori casalinghi o di svolgere del volontariato.
Se da un lato ci auguriamo che la crisi coronavirus passi presto, senza che il pegno da pagare in vite umane sia troppo elevato, dall’altro si impone un profondo ripensamento della struttura economica e sociale del nostro modo di vivere. Dal momento in cui ci riteniamo una specie intelligente, unito al fatto di avere più tempo a disposizione, una riflessione in questo senso sarebbe opportuna. Risulterebbe imperdonabile riprendere tutto come prima e ritornare alla “vecchia” normalità, quando sappiamo che proprio questa rappresenta il problema.
Dovremo fare tesoro dell’esperienza vissuta. Tendere verso un modello di sviluppo più rispettoso dell’essere umano e dell’ambiente, ovviamente non sotto l’incalzare della catastrofe, ma programmandola con la necessaria lucidità per raggiungere obiettivi di risanamento duraturi dei nostri sistemi sociali e economici. Alcuni principi mi sono venuti in mente in queste giornate di isolamento, favorito dal tempo liberato dall’agenda:
Principi per una ricostruzione equa, democratica e ambientale:
- Impegnarsi per tornare alla precedente normalità non ha senso, perché proprio questa era il problema. La crisi deve essere un’occasione di analisi, progresso e riforma di quelle dinamiche che non erano sostenibili nemmeno prima della crisi.
- È necessaria un’evoluzione sociale ed economica che renda la nostra società sostenibile dal punto di vista ambientale e maggiormente resiliente agli shock esterni.
- Le persone e i nuclei famigliari devono essere aiutati al pari dell’economia, garantendo loro un reddito minimo.
- Gli enormi sforzi finanziari per scongiurare la crisi sociale ed economica, successiva a quella sanitaria, non possono essere accollati unicamente agli Stati. Anche le grosse fortune private e le grosse imprese che hanno beneficiato di privilegi fiscali generosi in passato devono apportare il proprio contributo.
- Le diseguaglianze sociali ed economiche non devono assolutamente accrescere durante e dopo la crisi. Anzi dovrebbero diminuire con una ridistribuzione delle risorse per garantire una società equa necessaria a una reale e sana democrazia.
- Il sistema economico capitalista liberista ha dimostrato tutte le sue fragilità strutturali e le sue contraddizioni. Un sistema economico basato sulla crescita infinita in un mondo finito è chiaramente una pericolosa superstizione.
- I fenomeni positivi emersi, quali la solidarietà, la prossimità, la valorizzazione dei commerci locali, un ritrovato e rafforzato comunitarismo e il valore aggiunto locale devono essere salvaguardati anche dopo la crisi.
- Non abbandonare le politiche ambientali e gli obiettivi di uscita dalle energie fossili con la speranza che siano di aiuto alla ripresa economica. Il denaro che risparmieremmo oggi lo ripagheremmo doppiamente domani in altre forme. La crisi rappresenta un’occasione per l’ente pubblico di favorire e sostenere, con decisione, una transizione economico sociale utilizzando le risorse prelevate dalle attività non virtuose.
- Gli investimenti di aiuto all’economia non devono essere distribuiti a pioggia (c’è il rischio di sostenere attività o logiche di mercato non virtuose), bensì puntualmente, secondo criteri ben definiti, dando la priorità ai settori strategici per il rilancio di un’economia sostenibile, sia socialmente che ambientalmente, sul lungo periodo.
- La crisi ha dimostrato che l’accesso ad Internet sia da considerare a tutti gli effetti come un diritto di base fondamentale.
Carlo Zoppi, geografo e Consigliere comunale socialista, Lugano