Articolo di Desirée Besomi in occasione della seconda domenica dell'avvento GISO
Nelle scorse settimane, l’ennesimo caso di femminicidio in Italia ha suscitato scalpore nell'opinione pubblica. La giovane età delle persone coinvolte ha generato varie reazioni, specialmente sui social media. Sono emerse diverse riflessioni sul fatto che dinamiche di possesso, in cui l’uomo non accetta la fine di una relazione poiché considera la donna di sua proprietà, siano ancora presenti nel 2023, soprattutto tra individui così giovani.
In questo articolo, eviterò di ripetere ciò che è già stato ampiamente discusso, anche in modo più informato di quanto potrei fare io. Non mi soffermerò neanche sulla giusta o non giusta spettacolarizzazione di questo caso, ma desidero fornire una sorta di guida in risposta ai commenti aberranti che ho notato in relazione a questa tragica vicenda.
Nessuno afferma che TUTTI gli uomini siano potenziali omicidi o stupratori. Si parla di responsabilità di genere non per incolpare singoli individui, ma per evidenziare comportamenti dannosi radicati in una cultura maschilista che alimenta e giustifica tali azioni. Quest’ultima non solo limita lo sviluppo personale degli uomini, ma contribuisce a mantenere una società che perpetua disuguaglianze di genere. Uno degli argomenti spesso sollevati in risposta a riflessioni di questo tipo è l'espressione "Not All Men" (non tutti gli uomini). Nonostante sia evidente che non tutti gli uomini siano coinvolti in comportamenti dannosi, questa frase viene utilizzata spesso per deviare l'attenzione dalla discussione centrale.
Nessuno nega le violenze commesse da parte di donne. I dibattiti si concentrano sulla violenza contro le donne a causa di statistiche allarmanti che evidenziano la gravità del fenomeno: non si parla solo di femminicidi, ma anche di stupri, maltrattamenti, molestie e situazioni discriminatorie che ogni donna sperimenta fin da piccola. La mancanza di un termine come "maschicidio" rispecchia il fatto che, sebbene la maggioranza delle vittime annuali sia costituita da uomini, le ragioni di questi omicidi non sono legate al genere, a differenza della maggior parte dei casi di violenza contro le donne. Se una persona ritiene che argomenti come la violenza sugli uomini, gli infanticidi e altri temi siano importanti da affrontare, è assolutamente legittimo farlo. Tuttavia, è essenziale farlo nel contesto appropriato. Si possono esprimere opinioni su questi problemi, ma evitando di farlo in risposta a chi discute di violenza contro le donne. In questo modo, si dimostrerà rispetto per entrambi gli argomenti, evitando di creare inutili divisioni di genere.
Il movimento femminista non odia gli uomini, ma si oppone alle strutture che perpetuano discriminazioni basate sul genere. Il femminismo si batte per l’uguaglianza, non per la prevaricazione di un genere su un altro, promuovendo diritti, opportunità e rispetto delle donne in tutte le sfere della vita. Tuttavia, in questo percorso verso la parità, si è reso evidente il problema della mascolinità tossica, un insieme di comportamenti e atteggiamenti che danneggiano non solo le donne ma anche gli uomini stessi (competitività e aggressività eccessiva, repressione delle emozioni, rifiuto della vulnerabilità ecc.). La critica alla mascolinità tossica non implica una condanna della mascolinità in sé, ma una chiamata a ridefinire gli stereotipi di genere dannosi per creare una società in cui uomini e donne possano coesistere in armonia e con rispetto reciproco. Gli uomini che si identificano come femministi sono parte integrante del cambiamento, poiché riflettono sui propri privilegi e riconoscono l'importanza di un'uguaglianza di genere autentica.
Non è mai colpa della vittima. Le persone violente tendono a celare la propria natura, rendendo difficile riconoscerle. Quando la vittima si rende conto di una situazione problematica, è molto difficile uscirne, spesso proprio per paura di ripercussioni. Le giustificazioni che si sentono oggi nei tribunali sono altrettanto esasperanti e sconfortanti. Se una persona non avesse accettato quell’appun-tamento, se non si fosse vestita in un certo modo, se non avesse frequentato certi luoghi, vengono spesso evocati come argomenti, alimentando una cultura che cerca di giustificare il comportamento violento basandosi sulle scelte apparentemente rischiose della vittima. È fondamentale respingere tale mentalità e sottolineare che nessuna azione da parte della vittima può giustificare la violenza subita. La responsabilità e la colpa devono sempre essere attribuite all’aggressore.
Ciascunə di noi può contribuire al cambiamento. È inevitabile che, prima o poi, nella nostra vita abbiamo pronunciato o riso di battute sessiste. Anch'io l'ho fatto, perché normalizzato dalla società. Ma è giunto il momento di porre fine a questo atteggiamento. Queste non sono solo battute, ma fanno parte di una cultura che alimenta stereotipi e oggettivizza le donne, contribuendo, in molti casi, alla violenza di genere. Fino a quando non smetteremo di normalizzare comportamenti sessisti “meno gravi”, non riusciremo ad affrontare quelli più gravi.
Invito quindi ciascuno di noi a contribuire al cambiamento sociale.
Un futuro basato sull'uguaglianza e sul rispetto reciproco può esistere solo se lavoriamo,
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