LE VIOLENZE CHE SCIOCCANO IL TICINO

06.10.2025 - Elia Mattei

Nella puntata di Matrioska del 24 settembre, Lorenzo Quadri ha spiegato di non avere le competenze per discutere della “situazione in Medio Oriente”. Il conduttore Marco Bazzi lo ha subito rassicurato: il tema della trasmissione non era il genocidio a Gaza, ma le “derive” delle manifestazioni “Pro Pal”. Per parlare di questo, il consigliere nazionale è qualificato. Senza dubbio un esempio di umiltà, ma personalmente da un rappresentante eletto all’Assemblea federale mi aspetto qualcosa in più. L’11 settembre il Consiglio nazionale ha respinto due mozioni che proponevano una serie di sanzioni economiche nei confronti di Israele, tra cui l’interruzione della collaborazione militare in atto tra la Confederazione e il governo Netanyahu. Collaborazione che prevede, ad esempio, l’acquisto di sei droni Hermes 900 dall’azienda israeliana Elbit Systems, prima impresa privata al mondo nella fornitura di armi all’Idf.

Come confermano gli esperti, rapporti di questo tipo con aziende coinvolte nello sterminio a Gaza violano la Convenzione sul genocidio del 1948, di cui la Svizzera è firmataria. Eppure, degli otto consiglieri nazionali ticinesi, solo Bruno Storni e Greta Gysin hanno votato a favore delle sanzioni. Tra i contrari, guarda caso, c’è Lorenzo Quadri: proprio quello che afferma di non essere qualificato per parlare di Medio Oriente. D’altra parte era contrario anche alle sanzioni contro la Russia, il che denota se non altro una certa coerenza. Quel che accade fuori dai nostri confini non è mai stato in cima alle preoccupazioni della Lega, che i bambini uccisi siano palestinesi, ucraini, sudanesi o congolesi. Non si può dire lo stesso dei deputati di Plr e il Centro. Alex Farinelli, Simone Gianini e Giorgio Fonio devono ancora spiegarci perché, dopo due anni di massacri, non hanno ritenuto opportuno sanzionare Israele. Questo dopo che la Svizzera ha adottato 18 pacchetti di sanzioni contro il Cremlino. Come giustificano i nostri rappresentanti questo doppio standard? È forse perché gli Ucraini sono bianchi? O è per via degli “interessi economici” di cui ha parlato Guy Parmelin?

In un’ottica di confronto democratico, sarebbe interessante ascoltare le motivazioni dei deputati in questione. Peccato che nelle scorse settimane fossero tutti impegnati a parlare di un altro grande scandalo che ha scosso il Ticino: le “violenze” delle manifestazioni Pro Pal. Un esperto intervistato dalla Rsi ha usato le parole “scioccante” e “inquietante”, mentre Gianni Righinetti, vicedirettore del Corriere del Ticino, ha parlato di “barbarie”. Parole che, fino a pochi mesi fa, raramente venivano usate per descrivere la situazione a Gaza. Se il mondo avesse mostrato un decimo di questa indignazione per i crimini di Israele, il genocidio sarebbe finito da un pezzo. Sempre Righinetti, interrogato sull’inazione del governo, ha risposto così: “Non sono un sufficiente analista per arrivare a giudicare delle situazioni simili. Il perché probabilmente lo saprà il Consiglio federale. Io, fino a prova contraria, do fiducia all’atteggiamento e al modo di muoversi della Svizzera”. Pochi secondi dopo aveva già ripreso a parlare di manifestazioni violente.

Chi pensava che il compito del giornalismo libero in una democrazia fosse quello di monitorare con occhio critico l’operato del governo, evidentemente, si sbagliava. Più di recente, il vicedirettore è tornato sulla questione spiegando che “la Svizzera fa la Svizzera” per preservare la propria “equidistanza”. Equidistanza inesistente visto che il Consiglio federale considera Hamas un’organizzazione terroristica, mentre mantiene floridi rapporti commerciali con Israele. Per chi scende in piazza, “fare la Svizzera” significa rispettare il diritto internazionale, non nascondere la propria complicità dietro la maschera di una falsa neutralità. Righinetti si è poi superato affermando che a Gaza “non sarebbe stato sparato un solo colpo” senza gli attacchi del 7 ottobre. Evidentemente dimentica che, a Gaza, nel 2018 i cecchini israeliani spararono sulla folla reprimendo nel sangue le manifestazioni pacifiche note come ‘Grande Marcia del Ritorno’. I dati Onu parlano di 189 vittime, tra cui 35 bambini e 5 persone con disabilità, per limitarsi a questo singolo esempio. Purtroppo, nel piccolo Ticino, certi politici e giornalisti affermano senza vergogna di non essere competenti per discutere di tutto ciò: la politica estera è una questione troppo complessa per noi umili abitanti di provincia. Ma voi ve lo immaginate un Marco Travaglio dire “non sono un analista, ma il governo Meloni avrà le sue buone ragioni”? O Elly Schlein che afferma di non avere le competenze per parlare di Israele e Palestina? Mentre ci infervoriamo per quattro piatti rotti davanti al Teatro Sociale, Gaza City viene rasa al suolo e il nostro governo continua a finanziare il genocidio. Ancora una volta la Svizzera, patria della Croce Rossa e delle Convenzioni di Ginevra, verrà ricordata come quel Paese che fino all’ultimo ha sostenuto uno Stato genocida, guidato da un criminale di guerra su cui pende un mandato d’arresto internazionale. Questo verrà scritto sui libri di storia e questo dovremo spiegare ai nostri figli e nipoti. Ma noi continuiamo pure a parlare di piatti rotti.

Articolo apparso il 6 ottobre 2025 su LaRegione.