La neutralità è una delle caratteristiche principali che la Svizzera ha voluto diffondere nel mondo durante tutta la sua storia recente. Il concetto rivela tuttavia di una certa ipocrisia: se la Svizzera vuole farsi promotrice, indirettamente o direttamente, di pace attraverso questo concetto le sue azioni hanno come conseguenza la costituzione di un mondo tutt’altro che pacifico. Sono molteplici le azioni della Svizzera che minacciano la sua stessa neutralità (almeno da un punto di vista ideale) ma in questo articolo mi concentrerò sulla questione dei commerci bellici in particolare perché il 29 novembre avremo la possibilità, attraverso il voto popolare, di modificare questa pratica.
Se consideriamo i trand globali possiamo notare che, salvo eccezioni, il mondo è in una fase di riarmo, di corsa agli armamenti all’incirca dal periodo di guerra fredda, perfino, si potrebbe dire, dall’inizio della seconda guerra mondiale. Le armi che tutti gli stati vogliono continuamente accaparrarsi, per assicurarsi una fantomatica protezione o per migliorare il loro status quo, sono state utilizzate innumerevoli volte nel corso del XX secolo per effettuare guerre in tutte le regioni periferiche del mondo. La produzione, il commercio, la distribuzione e l’utilizzo di armi non si sono arrestate tuttavia né con la fine della guerra fredda, né con l’avvento delle politiche liberiste (pensate, dai loro promotori, come portatrici di pace nel mondo) né con la fine del secolo: ci ritroviamo effettivamente ancor oggi in una situazione di corsa agli armamenti le cui logiche ricordano molto quelle in vigore nella seconda metà del XX secolo. Questa situazione spinge molti analisti a parlare di nuova guerra fredda.
Cosa centra la Svizzera e la sua neutralità in tutto questo, vi starete chiedendo. Ebbene la Svizzera ha un ruolo centrale nella promozione di questi commerci bellici. In effetti la produzione delle armi non si differenzia da quella degli altri prodotti: essa richiede prima di tutto dei finanziamenti. Ed è qui che entra in gioco la Svizzera; essa si fa promotrice di primo livello di questi meccanismi attraverso un importante finanziamento (attraverso istituzioni bancarie, assicurative, ma anche di previdenza sociale) dell’industria bellica, permettendo il funzionamento di un industria i cui prodotti vengono utilizzati nelle regioni periferiche del mondo per scopi contrari alla nostra neutralità e alla nostra tradizione umanitaria.
Spesso siamo tentati dal pensare che tanto noi svizzeri/e non abbiamo alcuna influenza su questi fenomeni internazionali, d’altronde come potrebbe fare un paese così piccolo come la Svizzera a cambiare qualcosa? In realtà la Svizzera può fare molto per invertire queste tendenze: essa è infatti una delle principali piazze economiche mondiali e gestisce il 27% del patrimonio finanziario globale. Possiamo capire in fretta come questo piccolo paese, insignificante dal punto di vista demografico, possa avere il peso di un gigante all’interno degli affari internazionali. Una modifica nelle pratiche svizzere potrebbe quindi dare un segnale importante al resto del mondo finanziario. Inoltre, è urgente concentrarsi su investimenti sostenibili e più redditizzi nel lungo termine. Ma meno a livello materiale e più ideologico interrompere questa pratica ci permetterebbe di difendere un pensiero neutrale che sia un po’ più coerente.
In questo articolo ho esposto solo una piccola parte delle ragioni per le quali occore dire sì alla votazione sull’iniziativa contro i commerci bellici: per una Svizzera più coerente con sé stessa, che invece di promuovore inquinamento e morte nel mondo promuova valori diversi, conformi all’immagine di sé stessa che vuole dare e che ha dato nel mondo: quella di un paese neutrale con una forte tradizione umanitaria.
Andrea Farioli