La pandemia COVID-19 ha scombussolato e continua a scombussolare le nostre vite. Anch’io ho seguito immediatamente le direttive del Consiglio di Stato e da qualche settimana ormai esco solo per fare la spesa. Non mi sarei mai aspettata di vedere nulla di simile nella vita e proprio per questo sento la necessità di prendere quest’esperienza e usarla per pensare a come migliorare le nostre istituzioni. Nella riflessione che vi propongo discuto del sistema sanitario. Senza nessuna pretesa di esaustività ho deciso di approfondire tre aspetti: le casse malati, le case farmaceutiche, le condizioni di lavoro del personale sanitario.
Da ormai più vent’anni il sistema sanitario è sempre più sottoposto alle pressioni del “libero” mercato, ai meccanismi concorrenziali e all’imperativo assolutamente inopportuno del profitto. Purtroppo quello a cui ci confrontiamo è a tutti gli effetti un “mercato della salute”, segno che l’economia di mercato è riuscita a permeare anche i settori più necessari e vitali. Individui e famiglie sono costrette a prendersi a carico ben 2/3 dei costi della salute, in parte attraverso il premio mensile e in parte attraverso gli innumerevoli costi detti “out of pocket” vale a dire, al di fuori di quanto coperto dal proprio regime di assicurazione. Questo significa che i 2/3 dei costi della salute sono assunti dalla popolazione in modo completamente anti-sociale, dal momento che né i premi né il prezzo delle medicine sono basati sul reddito. I costi sanitari sono aumentati annualmente a dismisura (in particolare dal 1996, entrata in vigore l’assicurazione di base obbligatoria) a causa della concorrenza sfrenata fra le casse malati e tra le case farmaceutiche, i premi e i prezzi dei medicamenti aumentano molto più dei redditi, mettendo in difficoltà la classe lavoratrice e la classe media. La ricerca in campo medico è diventata una responsabilità quasi esclusiva delle case farmaceutiche. La ricerca universitaria, anch’essa sempre meno sostenuta da fondi pubblici, ha perso di velocità di fronte all’incredibile pressione dei privati che hanno conquistato anche questo ambito, ormai mercificato. In Svizzera i medicamenti brevettati costano in media il 20% in più rispetto all’Europa e quelli generici in media il 50% in più rispetto all’estero. Questi dati sono a mio parere significativi, lasciano intuire che le nostre farmaceutiche mettano in atto dei meccanismi di mercato per far salire i prezzi dei medicamenti, senza alcuna sensibilità verso il ruolo sociale che hanno. Questo per loro funziona, Novartis ha avuto degli utili netti di oltre 7 miliardi nel 2019 e di quasi il doppio nel 2018, per dirne una, ma chi ne porta le conseguenze sono le persone. Anche il personale sanitario e quello sociale (anche quest’ultimo è irrinunciabile e ci rende un servizio incredibile in questo periodo) è sottoposto all’imperativo della produttività, e la gestione di ospedali e altre strutture di sostegno è ormai basata sul modello di management d’impresa. Questo ha fatto esplodere i burnout e altri problemi psichici e fisici in questa categoria di lavoratrici e lavoratori. I loro stipendi (e non solo i loro) sono cresciuti meno dell’inflazione nel trentennio che precede, dunque deleghiamo la nostra salute a professioniste e professionisti stressat*, sotto pressione e, spesso, sottopagat*.
In questo contesto, in cui le persone sono fragili di fronte a una serie di istituzioni sanitarie sempre più mercificate, è scoppiata la pandemia. L’ossessione dei costi diventa una vera e propria fobia per le casse malati. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità chiede di operare il maggior numero possibile di test da COVID-19, nell’ultima settimana ne abbiamo fatti circa 2000 al giorno in Svizzera, ma questi continuano a non essere generalizzati a tutta la popolazione. Come tutto, anche il prezzo del test di depistaggio varia fortemente da un Cantone all’altro e include, come spiega il giornale Bilan: il prezzo del consulto, del prelievo di sangue, quello del test in sé e, per precauzione, quello dei test complementari. Le Temps afferma che il costo totale del processo appena descritto si aggira fra i 260 e i 1000 franchi, e le casse malati non hanno ancora annunciato una presa a carico di questi costi, né (ovviamente) sembrano intenzionate a farlo. Nonostante la popolazione si assuma già i due terzi dei costi totali dovuti alle cure sanitarie, e nonostante la crisi a cui siamo confrontat* è epocale, i giganti finanziari che sono le casse malati si tirano indietro. Allo stesso tempo, le case farmaceutiche private si buttano a pesce sulla questione, sviluppando test di depistaggio alternativi che hanno i prezzi più disparati (mai sotto i 200 franchi). Questi nuovi test dovrebbero e potrebbero permettere una riduzione dei costi, diminuendo così la pressione sulla classe lavoratrice e media. Questo non avviene, purtroppo, perché ciò che muove le intenzioni delle industrie farmaceutiche è il profitto privato, a scapito del benessere della moltitudine. Infine, il personale sanitario accumula tutta la pressione della crisi. I turni di lavoro si allungano, gli straordinari si accumulano, le misure si irrigidiscono, i posti letti si riempiono. Improvvisamente i tagli sul personale sanitario e sugli investimenti pubblici nel settore, che hanno costellato la strategia dei Governi cantonale e federale negli ultimi decenni (naturalmente in favore di sgravi fiscali alla classe dominante), dimostrano poca lungimiranza di fronte alla fragilità di un sistema sanitario in balia del mercato. Eppure, non è nulla di nuovo che il mercato non va mai in soccorso a nessuno e nessuna se non c’è la promessa di un profitto.
Quando bisogna sopravvivere in un sistema sanitario concorrenziale e fatto su misura per la classe dominante, le condizioni di salute della classe lavoratrice e della classe media sono precarizzate. Questa situazione è esacerbata di fronte alla pandemia COVID-19. I costi, nemico assoluto delle casse malati, si riversano con rinnovata violenza sulle persone, che sono già confrontate a una situazione stressante di reclusione e di responsabilizzazione da parte dei Governi, mentre la maggior parte delle attività commerciali (inspiegabilmente) continuano. Le case farmaceutiche continuano a lucrare attraverso la commercializzazione di test di depistaggio che sono costosi tanto quanto quelli già in possesso della autorità, quando dovrebbero mettere a disposizione gratuitamente tutti i test possibili per intervenire con un controllo a tappeto di tutta la popolazione. Il personale medico è esausto, e si sta preparando al famoso picco di contagi e all’eventuale collasso del sistema sanitario, nel caso in cui le persone bisognose di cure aumentino troppo rispetto alle capacità delle strutture. È necessario che il potere pubblico intervenga subito con misure di de-mercificazione del dominio sanitario.
- È questo il momento di nazionalizzare l’assicurazione malattia, attraverso la formazione di una cassa malati unica e statale, che si assuma tutti i costi causati dalla pandemia COVID-19, in quanto istituzione pubblica ai servizi del bene collettivo.
- È questo il momento di nazionalizzare la ricerca e l’industria farmaceutica, attraverso la formazione di un istituto di ricerca unico e statale, che diffonda medicamenti a buon mercato, gratuiti per chi non ha i mezzi di pagarseli, e che consistono nella migliore opzione possibile.
- È questo il momento di nazionalizzare tutti gli ospedali, le cliniche private e le altre strutture sanitarie e sociali, e di cambiarne radicalmente la gestione migliorando così le condizioni di lavoro e retributive di tutto il personale, aumentando la qualità delle cure e dei servizi, e uscendo dal paradigma produttivista.
Federica Caggìa, membro di comitato