Tra gli studenti e le studentesse dei licei, posti di fronte agli orrori dell’Olocausto, sorgono regolarmente alcune domande: gli Svizzeri sapevano chi c’era nei treni diretti ad Auschwitz? Sapevano ciò che accadeva in Germania? La Svizzera avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo?
Queste sono le domande che oggi ci poniamo, che abbiamo posto ai nostri nonni. Che ci sia stata una complicità del governo svizzero nei crimini della Shoah oggi è assodato. Ciò che ancora ci si chiede è quanto la popolazione sapesse. Questa presunta innocenza è un lusso che oggi non possiamo permetterci. Oggi sappiamo esattamente quel che succede a Gaza: ospedali bombardati, fosse comuni, giornalisti assassinati, bambini sparati in testa dai cecchini israeliani, come documentato dal New York Times già nell’ottobre del 2024[1]. Sono passati ormai 19 mesi dai massacri indiscriminati del 7 ottobre e dall’inizio della reazione tragicamente spropositata di Tel Aviv. Da allora vediamo sui social media immagini di corpi smembrati di bambini palestinesi. Immagini che i telegiornali occidentali tendono ad occultare, mentre parlano di “obiettivi militari” e “scudi umani” per giustificare i crimini di Israele.
Crimini che Raz Segal, storico israeliano esperto di genocidio e Olocausto, ha definito “un caso di genocidio da manuale” [2]. E non è il solo. Il termine è stato usato da diversi colleghi, tra cui Amos Goldberg, Omer Bartov e Lee Mordechai, oltre che da due commissioni indipendenti delle Nazioni Unite, da 37 esperti e relatori speciali ONU [3], da Amnesty International e da Human Rights Watch. Una lista che parla da sé.
Parlare di genocidio a Gaza non significa farne un paragone storico con l’Olocausto. Purtroppo, i casi di genocidio nella storia sono molteplici. Quello di Gaza sarà ricordato come il primo a esser stato documentato “in diretta social”.
E infatti in Svizzera sappiamo tutto. Sappiamo e non facciamo nulla. Qualche parola di compassione ogni tanto, quasi fossero vittime di un terremoto. Prevalgono il sentimento di impotenza e un certo conforto nel pensare che in fondo tutto questo non ci riguarda, che non dipende da noi. E invece ci riguarda eccome. Quelle vittime sono civili massacrati dall’esercito israeliano con la nostra complicità.
Ma cosa dovrebbe fare dunque la Svizzera, concretamente?
Per esempio condannare con fermezza Israele come ha fatto con la Russia. Per esempio riconoscere lo Stato palestinese, come il 75% dei paesi del mondo e l’ONU già fanno. Per esempio interrompere i rapporti con il gruppo Elbit Systems, tra i principali fornitori di armi all’esercito israeliano, che ha attualmente una filiale in Svizzera.
Negli ultimi 19 mesi, la Svizzera non ha imposto alcuna sanzione contro Israele e ha ricevuto a Davos il presidente israeliano Isaac Herzog come se niente fosse. Proprio quel presidente che firmava i missili da sganciare su Gaza, che ha parlato di un’intera nazione responsabile dei crimini del 7 ottobre. Un accordo di libero scambio è tuttora in vigore tra la Confederazione e lo Stato ebraico, oltre che una stretta collaborazione in ambito scientifico e tecnologico.
Nel giugno del 2024, la Colombia ha interrotto le esportazioni di carbone verso Israele. La Spagna ha invece rinunciato all’acquisto di materiale bellico da imprese israeliane. Persino gli Stati Uniti di Biden, insieme a Francia e Regno Unito, sono riusciti a sanzionare alcuni coloni per le violenze commesse in Cisgiordania. La Svizzera no. La Svizzera non fa niente e ai nostri figli risponderemo che non abbiamo fatto niente. Tutto questo ha un nome e si chiama complicità. La Storia ce ne chiederà conto.
[1] Feroze Sidhwa, 65 Doctors, Nurses and Paramedics: What We Saw in Gaza
[2] Raz Segal, A Textbook Case of Genocide
[3] Francesca Albanese et al., ‘The international order is breaking down in Gaza’: UN experts mark one year of genocidal attacks on Palestinians
Articolo di Elia Mattei, matematico, apparso il 6 maggio 2025 su LaRegione.