Articolo di Nancy Lunghi apparso su LaRegione il 5 febbraio 2021.
Come mi (s)vesto lo decido io!
Il diritto all’autodeterminazione a noi donne e uomini svizzeri può sembrare qualcosa di acquisito e intoccabile. Ma è davvero così? A farci riflettere al riguardo è l’ennesima discussione sul velo integrale, che sta tornando sulla bocca di tutte e tutti grazie all’iniziativa popolare sul divieto della dissimulazione del viso in votazione il 7 marzo.
L’iniziativa vuole infatti inserire nella Costituzione un divieto della dissimulazione del viso. Un codice di abbigliamento che limita diverse libertà fondamentali, tra cui anche il diritto all’autodeterminazione, senza che ci sia un vero interesse pubblico.
Gli iniziativisti, persone molto vicine alla destra conservatrice, sostengono di opporsi al velo integrale in nome della parità di genere e contro l’oppressione femminile. Una novità! E sarà forse perché questi non sono i punti forti del loro programma politico che stanno facendo un grave errore di valutazione. Non è infatti punendo una trentina di donne che portano il velo integrale in Svizzera (per lo più turiste o residenti convertite che lo fanno per propria scelta) che si combatte l’oppressione femminile, anzi. Da un lato si puniscono ulteriormente le donne vittime dell’obbligo, dando loro una multa o costringendole in casa; dall’altro si viola il diritto di opinione e all’autodeterminazione delle donne che scelgono di portare il velo integrale.
Se gli iniziativisti e i loro assidui sostenitori volessero davvero una società fondata sulla parità di genere, dovrebbero iniziare a promuovere e sostenere tutte quelle politiche di integrazione, di formazione e di lavoro che permettono veramente alle donne di raggiungere l’indipendenza sociale ed economica – indipendentemente dal fatto che indossino veli integrali, minigonne o jeans.
In Svizzera, costringere una persona a fare o indossare qualcosa contro la propria volontà è una coazione ed è già punibile secondo l’articolo 181 del Codice penale svizzero. È comunque sbagliato pensare che tutte le donne che si coprono il viso lo facciano sotto costrizione. Questo atteggiamento paternalistico cementa lo stereotipo della donna musulmana come un essere alienato e immaturo che deve essere liberato. Ci sono donne che indossano volontariamente il velo integrale perché per loro è espressione della loro identità culturale o religiosa o perché vogliono distanziarsi dall’immagine sessualizzata delle donne nelle società occidentali. Un divieto generale di dissimulazione del viso costituirebbe quindi un’invasione delle libertà fondamentali di queste donne e non può dunque essere giustificato.
La costrizione a coprire il corpo femminile è l’espressione di un sistema patriarcale. In tutte le culture patriarcali, comprese quelle cristiane, i corpi delle donne erano e sono soggetti al controllo maschile e spesso alla violenza da parte degli uomini. La sessualità delle donne era fortemente limitata da divieti e comandamenti, e alle donne veniva negato il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo. Ecco perché nella storia europea l’esposizione del corpo e la nudità sono stati anche simboli di emancipazione. Nella nostra società odierna, però, c’è anche una verosimile costrizione a scoprire il corpo femminile, che viola la dignità della donna tanto quanto la costrizione a coprirsi. Ci viene spontaneo chiederci: Quanto sono realmente autodeterminate le donne occidentali quando si sottomettono – spesso inconsciamente – alle implacabili norme sociali e agli standard di bellezza che le mettono sotto pressione e le rendono sempre più malate fisicamente e psicologicamente, limitando o addirittura danneggiando la loro integrità fisica? L’emancipazione va quindi sostenuta anche in questo senso!
Noi donne, tra tutti, sappiamo quanto possono essere restrittivi i codici di abbigliamento, sia che siano imposti culturalmente o patriarcalmente. Quindi diciamo: NO al divieto di dissimulazione del viso, NO ai codici di abbigliamento. Perché non vogliamo che delle donne già vittime di violenza siano ulteriormente vittimizzate, e perché anche noi vogliamo vestirci a nostro piacimento – senza vincoli religiosi, culturali, patriarcali e men che meno statali.
Nancy Lunghi – GISO, Co-presidente Coordinamento donne della sinistra e PS Locarno