Lavoro malato, lavoro che fa ammalare

16.02.2019

Articolo di Fabrizio Sirica
Il mercato del lavoro ticinese è malato, i suoi sintomi più evidenti sono una costante pressione sui salari, il diffondersi di situazioni di abuso contrattuale, la crescente precarizzazione delle forme di impiego, l’incremento dei fallimenti pilotati. Ma un aspetto che si tende a tralasciare, sono le ripercussioni psicosociali che questo contesto genera su lavoratrici e lavoratori. Come sindacalista sono confrontato sempre più spesso con persone che non ce la fanno più: vi è una vera e propria epidemia di disturbi psicosociali causati dal lavoro.
Capite l’ansia che vive un precario o un working poor, che nonostante il lavoro non riesce a tirare a fine mese? Riuscite a immaginare le notti insonni perché il capo ti mette sotto un’ingestibile pressione, e nonostante le tante ore di lavoro, gli straordinari e il profondo impegno non basta mai? Il timore di stare in malattia anche quando hai 38 di febbre, perché hai paura di esser licenziato? Il blocco che provi il mattino sul posto di lavoro perché sei controllato e giudicato malamente per ogni passo che muovi? Perché certi meccanismi diventano rapidamente terreno fertile anche per il mobbing.
Le testimonianze che raccolgo settimanalmente raccontano che una parte del mercato del lavoro si è disumanizzato, persone che si sentono numeri, limoni da spremere e che vanno cestinati nelle assicurazioni sociali quando non producono più. Questi vissuti trovano riscontro in dati allarmanti, che vedono il Ticino come fanalino di coda di tutta la Svizzera: il 20% degli occupati ticinesi teme per il proprio posto di lavoro, il 21.5% ha dei problemi a conciliare vita professionale e privata, mentre addirittura il 27.5% presenta sintomi legati ad eccessivo stress (fonte Job Stress Index). Se a ciò sommiamo le difficoltà materiali, cioè che l’11% lavoratori è in povertà (e il rischio di povertà è del 30%) risulta del tutto evidente che viviamo in un contesto patologico!
Ben venga quindi la campagna lanciata a livello nazionale e dal DSS per combattere il disagio psicologico. Ma è urgente capire che una delle principali cause è il contesto socioeconomico: curare questo mercato del lavoro, in modo da evitare che si ammalino le persone. Oltre a continuare la lotta per migliorare le condizioni materiali (un aspetto fondamentale è il salario minimo!), sul fronte dei rischi psicosociali c’è moltissimo da fare. Ritengo che la politica debba agire su 3 assi: prevenzione, intervento precoce e controllo. La prevenzione intesa come formazione dei quadri dirigenti e intermedi, far rendere consapevoli degli enormi rischi psicosociali correlati alla gestione dei collaboratori.
L’intervento precoce per permettere a chi ha delle difficoltà di trovare sostegno e aiuto concreto, ad esempio rinforzando il laboratorio di psicopatologia del lavoro, che già oggi è uno strumento importante. In ultima analisi, soprattutto laddove è appurata una gestione negativa e pericolosa per la salute del personale, l’ispettorato del lavoro deve essere messo in condizione di intervenire. E’ tempo che la politica agisca anche qui. E io mi impegno a farlo sin d’ora.