Le discriminazioni non sono opinioni

15.01.2020

Il 25 settembre 1994 il 54.6% dei votanti approvò l’entrata in vigore della norma penale antirazzista, rendendo così punibile odio e discriminazioni basate sulla – passatemi la citazione poco felice del Codice penale – “razza”, etnia o religione. Un comitato formato da rappresentanti dell’estrema destra aveva lanciato il referendum contro questa modifica legislativa, argomentando con l’abolizione della libertà d’espressione e la censura statale delle opinione private dei cittadini.
Venticinque anni dopo ci ritroviamo allo stesso punto. Il 9 febbraio saremo chiamati a votare l’ampliamento della norma penale antirazzista, per includervi anche odio e discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Di nuovo è stato lanciato un referendum e la linea argomentativa è sempre la stessa: “ma la libertà d’espressione?!”, “è censura!”, “volete metterci in prigione per aver fatto battute sui gay?!”.
La realtà è ben diversa da ciò, come mostra l’esperienza con la norma penale antirazzista: dalla sua entrata in vigore nel 1995 fino alla fine del 2019, sono state avviate 910 cause nei tribunali svizzeri, per una media di 38 all'anno. Nel 62% dei casi c'è stata una condanna, mentre nel 38% l'assoluzione o l'abbandono. Questi numeri mostrano chiaramente che la legge può essere applicata in modo proporzionato. Ciò varrà anche includendo l'orientamento sessuale: non ha quindi senso parlare di un’ondata di cause giudiziarie inutili, né oggi né in futuro.
Questo non è però l’argomento principale per sostenere questa modifica legislativa; in realtà il problema maggiore viene oscurato nel dibattito pubblico dall’apparente minaccia di censura: odio, discriminazioni e attacchi fisici contro persone LGBT sono all’ordine del giorno in Svizzera. Proprio recentemente una coppia di giovani uomini è stata minacciata in un ristorante a Berna, mentre i bambini di una coppia omosessuale non sono stati accettati in un preasilo privato nel Canton Argovia. E questi sono solo due esempi, considerando la stragrande maggioranza di casi simili non viene denunciata e non appare neppure sui giornali.
Odio e discriminazioni contro persone lesbiche, omosessuali e bisessuali vanno puniti – e questo non ha nulla a che vedere con la limitazione della libertà d’espressione, anzi: se la tua “opinione” attacca l’integrità psicologica e fisica di un intero gruppo sociale, non è un’opinione. È unicamente odio e intolleranza, che una società democratica e attenta alla dignità di ogni individuo non può tollerare. Diciamolo chiaramente e votiamo sì il prossimo 9 febbraio.